Harold Ramis: Ricomincio dal college

Il suo più celebre film da regista è certamente “Ricomincio da capo” (1993), col cinico e arrogante meteorologo Bill Murray condannato a riflettere sulla propria vita rivivendo infinite volte lo stesso giorno. In quel film si ritaglia la particina del medico a cui l’attonito protagonista si rivolge inizialmente, credendosi malato di nervi. Ma sul grande schermo Harold Ramis, classe 1944, ex-insegnante, attore, regista, sceneggiatore, componente del nucleo storico del “National Lampoon”, una delle maggiori riviste satiriche americane degli anni ’70, rimarrà soprattutto come il prof. Egon Spengler in “Ghostbusters” di Ivan Reitman, successo storico e planetario del 1984, scritto dallo stesso Ramis insieme a Dan Aykroyd. Come Eddie Murphy in “Una poltrona per due” e Larry Rapp in “C’era una volta in America”, anche Harold viene scaraventato davanti alla macchina da presa dalla morte di John Belushi, che scompagina completamente l’assegnazione dei ruoli nel film. Se ne va proprio nel trentennale di “Ghostbusters”, Harold Ramis. Film che non solo scrive una grande pagina del cinema comico, ma modernizza in un attimo anche i parametri dell’horror-fantasy e del “film di fantasmi”: niente più catene, ululati nella notte e porte che scricchiolano in magioni ottocentesche, ma inseguimenti e battaglie a colpi di raggi nucleari per le vie di New York e per i grattacieli di Manhattan.

Nell’umorismo di Ramis, il concetto “scienza-insegnamento” è ricorrente. Teoricamente, Spengler, Bill Murray-Venkman e Dan Aykroyd-Stantz sarebbero docenti universitari; così come è di ambiente universitario la più famosa sceneggiatura dell’autore di Chicago, “Animal House” (1978) di John Landis, archetipo e capostipite della commedia studentesca. Il titolo originale è “National Lampoon’s Animal House”. Ramis lo scriverà, insieme a Douglas Kinney e Chris Miller, ispirandosi alle propria vita da studente universitario a Washington.

In definitiva, Harold può essere considerato un esponente di punta del clan del “Saturday Night Live”, cioè quel gruppo di attori, lanciati dal leggendario programma tv americano. Interpreti come i fratelli Belushi, Dan Aykroyd, Bill Murray, Chevy Chase, John Candy, Eddie Murphy e molti altri, guidati da scrittori come Ramis e da registi come Landis, Reitman, Richard Donner, Steven Spielberg. Negli anni ’70 e ’80, questo gruppo darà vita a molti film dalla caustica e forte carica satirica, spesso mescolando generi diversi. Il “clan” è in qualche modo il contraltare, la faccia “maleducata” e politicamente scorretta del “Brat pack”, il gruppo di attori che, nella stessa epoca, si specializza in commedie a carattere generazionale e alla cultura pop.

Negli anni ’90 e 2000, Ramis continua a realizzare commedie, non tutte di enorme successo, non tutte edite in Italia, ma sempre di buon livello. Alcuni titoli diventano famosi, come “Mi sdoppio in 4”, con Michael Keaton e Andie MacDowell, uscito nel periodo del dibattito rovente sulla clonazione, e il dittico “Terapia e pallottole” e “Un boss sotto stress”, con Robert De Niro nel ruolo forse più autoironico della sua carriera, quello di un boss mafioso in crisi depressiva, curato dall’analista Billy Crystal.

Gli amici e i colleghi di una vita sono unanimi: se ne va un autore sofisticato e dotato di grande intuito per la comicità, oltre che una persona di grandissime qualità umane. Anche se il suo nome è stato sicuramente più famoso in patria che fuori, rimangono nell’immaginario collettivo la maschera e le invenzioni di un cineasta che ha saputo, più e meglio di tanti altri, sottolineare l’importanza della scrittura come momento fondante ed essenziale dell’invenzione cinematografica, portando al centro dell’attenzione una figura della quale troppo spesso il grande schermo negli ultimi decenni ha creduto di poter fare a meno: lo sceneggiatore.

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